Ciccio di Viggiano

 

Nella povera capanna regnava la più cupa tristezza.

Il babbo era morto, la povertà e la fame opprimevano i suoi due figlioletti: Frungillo e Menicuzzo, rimasti soli con la madre.

«Come si fa, adesso?» chiedeva tutta sconsolata la donna.

E i due bambini, non sapendo che cosa rispondere, andavano a sedersi sulla soglia e, per ingannare la fame, sognavano carriole d'oro piene di patate fumanti, una montagna di formaggio pecorino, una casina fatta interamente di zucchero.  

Un giorno, mentre così sognavano, arrivò un vecchio magro e asciutto che portava a tracolla una chitarra e aveva in mano un flauto.

Egli aveva anche sulle spalle un sacco gonfio che i fanciulli guardavano pieni di speranza.

«Io sono Ciccio, amico del vostro povero babbo» disse questo strano personaggio «e vengo da Viggiano, il paese della musica. Questi due strumenti mi furono affidati da vostro padre quando, ormai arricchito, si comprò questa capanna per sposarsi. Anch' io ora mi sono fatto un bel gruzzolo e aiuterò voi!».

Così dicendo tolse dal sacco una grossa pagnotta a forma di ciambella guarnita di uova sode e la pose in grembo alla donna, che lo guardò con occhi lucenti di commozione e di gratitudine per quella generosità insperata.

Finalmente qualcuno pensava ai suoi figli! Dopodiché l'uomo cominciò a suonare allegre ariette popolari.

I ragazzi, che già si erano mossi verso il pane, s' immobilizzarono, incantati. «Siete proprio dei veri Lucani, intrisi di musica fino alle ossa!» disse contento l'uomo. «Io vi darò questi strumenti e vi insegnerò a suonarli. Girerete anche voi per il mondo, dando con le canzoni un po' di serenità e di gioia agli uomini, stanchi di lavoro e di fatiche; essi non saranno avari con voi e il benessere tornerà nella capanna; vostra madre non mancherà più di nulla...». L'uomo se ne andò. La donna si accinse a spezzare il pane; il suo volto finalmente era illuminato dalla speranza.

 

BARBARA STUFFER 2000/2001

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