Come il gatto giunse in Islanda
Leggenda
islandese
In una catapecchia sprofondata tra le canne sulla riva del lago,
vivevano un uomo e una donna molto vecchi assieme al loro figlio
Fortunato. La loro abitazione, se così si poteva chiamare,
era priva di tutto, salvo due sgangherati sedili, una ciotola unta
e un ferro per rovistare nel fuoco.
- Nemmeno un maialepotrebbe viverci! - sentenziavano sbrigative
le compari del villaggio quando passavano di lì. E quando
attraversavano la piazza del paese si ristoravano la vista col perfetto
lindore delle loro casette.
In realtà nessuno sospettava quanto fosse ricco il vecchio
della catapecchia, nessuno sapeva del sacco di corone doro
gelosamente custodite sotto il pagliericcio; e quando morì
nessuno avrebbe potuto immaginare che avesse preferito patire la
fame per tutta la vita piuttosto che separarsi da una sola delle
sue amate monete. Di lì a poco morì anche la vecchia,
e il giovane Fortunato si trovò solo al mondo. Mentre sbarazzava
lunica stanza della sua triste dimora urtò col piede
nel sacco doro e, pensando che contenesse pietre, stava per
buttarlo nel lago, quando da una scucitura occhieggiò luccicante
una monetina. Sciolse lesto il legaccio che chiudeva
limboccatura e dimprovviso seppe dessere diventato
ricco.
Fortunato era un ragazzo semplice, che non vuol dire sciocco, e
afferrò subito lidea di come ora sarebbe cambiata la
sua vita. Sorrise tra sé e sé, si ravvivò i
capelli, cercò di dare un aspetto ai suoi misteri stracci
e si avviò verso il paese. Non aveva fatto metà della
strada, e costeggiava ancora il lago, quando sentì un fischio
venire dal canneto.
- Qualcuno mi ha chiamato? - chiese fermandosi e girando la testa.
Ma non ottenne risposta e già riprendeva il cammino quando
di nuovo gli parve che il fischio si ripetesse. - Se qualcuno mi
cerca, è bene che si sbrighi! - disse a voce alta fermandosi
di nuovo. - Perché questa mattina ho una fretta indiavolata
e tra poco nessuno mi vedrà piú da queste parti. Saltò
fuori allora un buffo omino, non piú alto di un palmo, vestito
tutto di verde come le foglie e con un campanellino dargento
appeso al berretto. - Fortunato, dimmi, se non mi fai del male,
ti dirò ciò che ora ti dico? - fu lo strampalato esordio
del folletto del lago, perché proprio di un folletto si trattava.
- Perché mai dovrei? non ci penso nemmeno - rispose Fortunato
un po stupido. e infatti non gli era mai passato per il cervello
di fare del male a qualcuno, figuriamoci a un folletto.
- Sappi allora che quel denaro è stato rubato ai troll, i
crudeli giganti delle montagne - disse la minuscola creatura. -
Si tratta di oro pericoloso e malvagio. Liberatene subito, oppure
donalo ai poveri. Solo nelle loro mani può diventare buono.
Tieni invece per te la monetina che hai visto per prima. È
lunica che sia stata guadagnata onestamente.
Ciò detto il folletto sparì tra le canne.
Restato solo, Fortunato non ci pensò su nemmeno una volta
e giunto al paese distribuì nottetempo tutto il denaro tra
le case piú povere.
La mattina seguente il giovane fischiettava tra i campi felice di
essersi liberato tanto in fretta di un così grande pericolo.
Aveva una sola moneta in tasca, non era un gran che, ma sempre meglio
di niente. Non sapeva neppure dove dirigere i propri passi, ma non
per questo perdeva il buon umore. Così imboccò il
primo sentiero che lo portava nel bosco.
Era un bel po che camminava e cominciava a sentire appetito.
Camminò ancora e ancora e lappetito diventò
fame. Il sole scendeva quando vide una casa.
Bussò e una donna aprì luscio invitandolo ad
entrare. Nella cucina erano riuniti attorno alla tavola il marito,
i figli e la vecchia nonna. Gli fecero posto e aggiunsero un piatto.
Nessuno fece domande e tutti mangiarono.
Quando fu sazio Fortunato cominciò a guardarsi intorno e
vide con sorpresa un animale acciambellato vicino alle braci del
cammino, assai diverso da tutti quelli che aveva visto fino ad allora.
Aveva il pelo del colore delle castagne mature, lievemente striato,
e non era molto grande, ma gli occhi erano larghi, a volte ovali
a volte rotondi, e brillavano come specchi profondi. Cantava in
una maniera assai strana e sommessa, che si udiva soltanto a stargli
vicino.
- Qual è il nome di questa strana creatura? - chiese allora.
- Lha portata un marinaio doltremare e ha detto che
laggiú la chiamano gatto - risposero quelli. - vorrei comperarlo,
se me lo vendete, e non costa troppo e mi farebbe compagnia. -
Gli chiesero una monetina doro, e lui fu molto felice di poterlo
acquistare.
La mattina seguente si prese il gatto, lo avvolse nel suo povero
mantello, si assicurò che fosse comodo e riprese fischiettando
il cammino nel bosco. Di lì a poco il bosco finì e
si aprì unampia campagna lavorata con cura, qua e là
punteggiata di tetti rossi delle fattorie. Ancora piú lontano
si alzavano le bianche torri del re visibili anche a grande distanza.
Fortunato pensò che lì forse avrebbe potuto trovare
lavoro e si diresse alla reggia, chiedendo udienza al sovrano. Mentre
attendeva nella grande sala a pianterreno si meravigliò che
tutte le persone che vedeva, donne e bambini, vecchi, paggi, guardie
o cavalieri camminassero impugnando delle lunghe bacchette con le
quali percuotevano distrattamente il pavimento. Quando invece sedevano,
davano prima un gran botto sul sedile prescelto, ma poi restavano
sospettosi e inquieti, anche se in giro non si vedeva nessuno. A
volte spiavano sotto i tavoli, o dietro le tende. Peraltro nessuno,
tranne lui, sembrava stupirsi di quellinsolito comportamento.
Intanto gli fu detto di andare nella sala da pranzo reale, dove
il re lo invitava a mangiare con la sua corte.
Entrando nella sala, il giovane vide con stupore una folla di piccole
bestiole scure che correvano dappertutto sul pavimento e sul tavolo.
Erano così sfacciate da rubare pezzi di cibo anche al re;
e gli altri commensali non si trovavano meglio. Tra un boccone e
laltro tutti cercavano inutilmente di allontanarle colpendole
con le loro bacchette. Quando fu seduto, Fortunato chiese alla nobildonna
che gli sedeva a lato: - che specie di animale è questo?
- qui li chiamiamo topi - rispose la donna, mentre tentava di allontanarne
uno particolarmente interessato al suo piatto. - Sono anni che hanno
invaso la corte e il paese e la nostra vita sono diventati impossibili.
Il re ha promesso sua figlia in sposa a colui che sarà capace
di sterminarli, ma fin ora nessuno ci è riuscito. -
In quel punto si vide unombra sfrecciare nellaria. Il
gatto era balzato sulla tavola e dopo morsi e zampate, un bel numero
di topi giaceva morto. Ancora un balzo, e ancora altri topi a pancia
allinsú. Allora ci fu un grandinio di zampette e la
massa brulicante e scura fuggì per porte e finestre fuori
della sala.
Il re e la sua corte restarono stupefatti e poi, naturalmente, fecero
grandi feste al loro liberatore, il gatto, che non avevano mai visto,
e al suo proprietario Fortunato che ebbe la mano della figlia al
re.
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